LA CRISI DEL RETAIL TRADIZIONALE SI RIFLETTE SUL MERCATO IMMOBILIARE

Un mercato sempre più polarizzato ed interessato da un cambiamento epocale se non quasi rivoluzionario.

Il retail registra un crescente gap tra lusso e segmenti standard, tra shopping tout court e spazi che mixano anche intrattenimento ed educational.

Internet tramite gli OnlineShop, E-commerce, i nuovi canali di vendita Social come Instagram e Facebook stanno sempre più prendendo piede e distruggendo il mercato del retail tradizionale.

A causa di questi motivi si aggiunge sempre la mancanza di tempo da parte delle persone sempre più impegnate a lavoro e anche alla secondo effetto di internet ovvero la pigrizia;

“perchè uscire, cercare parcheggio, camminare per molteplici negozi quando puoi semplicemente da casa o comodamente seduto in ufficio durante le pause acquistare online in grandi E-Store multi-brand ?” Questa è la domanda che risponde alla crisi retail odierna.

A causa di tutti questi motivi oggi come mai il retail tradizionale ha visto e sta registrando numerose perdite nelle vendite che causano di conseguenza un incapacità di poter adempiere e sostenere alle spese di mantenimento dei punti vendita reali.

Inizialmente i negozi tradizionali hanno cercato di difendersi combattendo le vetrine  virtuali, rinventandosi l’idea di negozio e creando non più semplici punti vendita ma esperienze d’acquisto più interattive e attrattive per il cliente potenziale; tuttavia il gap rimane grande e non si registrano più le vendite del passato prima dell’avvento degli Online Shop.

Tutto ciò si riflette ovviamente sul mercato immobiliare dove appunto il negozio diventa un oggetto sempre meno attraente.

«Secondo il Politecnico di Milano nel mondo nel 2018 sono stati spesi 2.500 miliardi in e-commerce – dice Clara Garibello, responsabile della ricerca di Scenari Immobiliari che ha stilato il report Retail 2019 -. In Italia il 6,3% dei consumi, pari a 27,4 miliardi di fatturato, è passato per l’online (in Europa la penetrazione dell’e-commerce è pari al 10%, in Cina al 16%)». E le difficoltà per i centri commerciali si sentono e si riflettono sugli investimenti.

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Secondo Scenari Immobiliari nel 2018 ci sono state 13 transazioni di disinvestimento per circa 264mila mq con un valore di poco superiore ai 668 milioni di euro.

Si è trattato di asset ceduti perché in alcuni casi in posizione non dominante. Un valore non lontano dalle cinque transazioni avvenute nelle High Street, un investimento complessivo di poco inferiore a 500 milioni di euro.

Nel segmento vie dello shopping, sebbene l’interesse resti concentrato su Milano e Roma, l’attrattivi si è allargata anche ad altre città, come Firenze, la più interessante per i brand, Venezia e Bologna. L’abbandono dei centri storici da parte delle attività terziarie apre occasioni di posizionamento per i retailer. Di esempio è piazza Cordusio a Milano dove sono approdati Starbucks e presto Uniqlo. «Scarseggiano le dimensioni desiderate e un probabile sviluppo in verticale diventa un’opportunità per gli investitori» .

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Intanto il retail cambia in Europa. Come? A Londra Matchesfashion, nato come negozio e passato a sito internet di e-commerce, ha reinventato uno spazio per shopping con ristorante stellato e aree per eventi ai piani. La ricerca di nuovi formati sposa l’evoluzione delle esigenze: nel retail entra sempre più l’esperienza, così come nella casa è entrato l’hotel con Airbnb.
A Milano la vivacità della città si trasferisce ai retailer nella ricerca di spazi, una domanda incentrata sulle high street centrali, mentre per le altre strade c’è totale disinteresse. Sebbene normalmente per i retailer il singolo punto vendita debba raggiungere almeno l’equilibrio economico, nelle high street del capoluogo lombardo la posizione e l’immagine che ne deriva sono sufficienti a giustificare l’investimento.

La città ha ulteriori potenzialità per continuare a evolversi investendo sulle attrattività che meglio la contraddistinguono a livello internazionale, come il Salone del mobile e la settimana della moda, aumentandone la cadenza. Infatti, questi eventi si convertono in perfetti connettori tra shopping, territorio e scambio culturale. Il turnover di insegne nelle high street di Milano da ottobre a dicembre 2018 rispetto all’anno prima è stato di 77 retailer in uscita e 69 in entrata. In via Montenapoleone ci sono 123 vetrine per le quali si pagano canoni massimi di 12.800 euro al mq all’anno. Terza via più cara in Europa secondo Cushman & Wakefield e quinta nel mondo. Ma si arriva fino a 10 mila euro anche in Galleria Vittorio Emanuele.

A Roma nel 2018 la domanda dei retailer è stata vivace, anche se incentrata sulle high street e in prossimità dei flussi turistici. Solo i negoziche raggiungono i fatturati attesi restano attivi, quelli meno strategici o con reddittività contenuta vengono chiusi, anche se collocati in centro.

Cresce e diventa sempre più attrattiva Firenze. Le High street della città accompagnano lo shopping in un percorso emozionale, tra musei, palazzi storici e brand, con oltre 2.200 metri di strada nei quali si incrociano 329 vetrine (più 212 ingressi con vetrina). Nelle vie dove si concentrano i retailer del lusso, via Strozzi e il percorso di via Roma, piazza della Repubblica sono presenti 49 insegne con 65 vetrine, per una percorrenza di circa 460 metri di lunghezza. Si tratta quasi sempre di vie di dimensioni contenute. Via Roma, in particolare, lunga appena 96 metri, concentra ben 14 retailer del lusso con 16 vetrine di esposizione.

Venezia è la location dove i principali retailer collocano le proprie vetrine come un’esposizione del brand sul mondo. Percorrendo circa 1.100 metri nelle High Street di Venezia si incrociano 266 remailer e 446 vetrine (più 712 ingressi con vetrina). «Il commercio – ha concluso Clara Gabello – deve ritrovare l’antica missione, quella di fungere anche da connettore e da interscambio culturale».

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