La multinazionale dell’ospitalità si appella alla norma introdotta dall’ultima manovrina, che obbliga gli intermediari a raccogliere le imposte sulle locazioni brevi, chiedendone la sospensione d’urgenza. Poi precisa: “Solo un passo formale”. Ma ora si annuncia uno scontro legale con il governo, che coinvolgerà anche l’Europa sul tema degli affitti.
ROMA – Ora lo scontro è aperto. La multinazionale dell’ospitalità Airbnb ha presentato ricorso al Tar contro la legge sugli affitti brevi. La norma, contenuta nella manovrina di primavera e ora pienamente operativa con i regolamenti delle Entrate, prevede che gli intermediari delle locazioni turistiche, sia digitali che non, raccolgano le tasse dovute dai proprietari di casa per conto del Fisco e trasmettano i relativi dati all’Agenzia delle Entrate. Due obblighi fin dall’inizio contestati dalle piattaforme digitali, in particolare da Airbnb. Che ora, come confermano a Repubblica diverse fonti, decide di impugnarla chiedendone l’annullamento o la sospensione dell’efficacia, domandando al Tribunale un giudizio entro il 15 ottobre. Il 16 infatti è la data prevista per il primo versamento delle tasse all’Erario da parte degli intermediari. Il ricorso è stato notificato ad Agenzia delle Entrate, presidenza del Consiglio e ministero delle Finanze, con cui ora si annuncia una battaglia a suon di carte bollate.
Secondo Airbnb, si legge nel ricorso presentato, la norma introdotta violerebbe infatti diverse leggi comunitarie, in particolare la direttiva 1535 del 2015 che prevede che gli Stati membri comunichino alla Commissione in maniera preventiva le nuove regole tecniche che riguardano le società digitali, l’articolo 56 del Trattato di funzionamento dell’Unione europea, che vieta restrizioni alla libera prestazione di servizi all’interno del blocco comunitario, oltre che le norme sulla tutela dei dati personali dei cittadini. I legali di Airbnb, nel caso il Tar non ravvisasse gli estremi per sospendere l’efficacia della norma, chiedono quindi al Tribunale di rimandare la questione alla Corte di Giustizia europea, per valutare la sua compatibilità con il diritto comunitario.
La legge prevede che le società che non hanno stabile organizzazione in Italia nomino un rappresentante fiscale nel nostro Paese, per raccogliere la cedolare al 21% sulle somme incassate dai proprietari, e che trasmettano al Fisco tutti i dati su ogni singolo contratto chiuso attraverso la piattaforma. Entrambe le disposizioni sono contestate dagli operatori digitali, che al momento non si sono attrezzati per rispettare la norma. In una intervista rilasciata a Repubblica lo scorso maggio il capo di Airbnb in Italia Matteo Stifanelli aveva annunciato l’intenzione di fare ricorso contro la legge, intenzione che però sembrava essere stata abbandonata in nome di un approccio più dialogante. Al Mef infatti era stato aperto un tavolo con gli operatori, con l’obiettivo di discutere parte delle loro obiezioni alla legge. L’ipotesi era che il testo potesse essere emendato nella prossime legge di Bilancio, rendendo gli obblighi nei confronti degli intermediari più morbidi. Interpellata da Repubblica, la società americana nega la volontà di scontrarsi con il governo, e definisce i ricorso “un passo formale, in attesa che presso il gruppo di lavoro si esplorino soluzioni più opportune”, ribadendo “di volere essere al fianco del Ministero delle finanze per affrontare quelli che nel testo attuale anche il Viceministro (Casero, ndr) ha individuato come difficoltà dal punto di vista tecnico”. Ma con le parti in tribunale, continuare a discutere sarà più difficile.